giovedì 9 giugno 2016

LA CARNE 

Da sempre simbolo di benessere alimentare, in questi ultimi anni la carne sta attraversando un periodo, tanto per rimanere in tema, di vacche magre. Colpa di una società sempre più afflitta da sovrappeso e colesterolo, in cui aleggiano gli spettri della mucca pazza, dell'influenza aviaria, delle farine animali e degli estrogeni. Parallelamente, il senso di disgusto per i metodi crudeli di allevamento e la percezione della carne come un alimento frutto di disuguaglianze sociali, ha contribuito alla diffusione della sensibilità vegetariana.

I Benefici della Carne

Lasciando da parte considerazioni etiche e filosofiche, vediamo di analizzare brevemente l'importanza della carne per la salute e per l'alimentazione umana. Questo alimento, seppur nell'estrema variabilità dovuta alla specie, ai tagli e alle caratteristiche dell'animale considerato, è una fonte proteica ad alto valore biologico; ciò significa che le sue proteine sono molto simili a quelle umane e sono quindi facilmente utilizzabili dall'organismo per soddisfare i vari processi metabolici in cui sono coinvolte (produzione di ormoni, enzimi, neurotrasmettitori, anticorpi, rinnovo cellulare, coagulazione del sangue, contrazione muscolare ecc.). Nelle proteine vegetali, al contrario della carne, il grado di similitudine con quelle umane è inferiore; ciò significa che quando l'alimentazione è incentrata esclusivamente su questi alimenti (dieta vegana) è facile incorrere in carenze specifiche, soprattutto se non si pone molta attenzione alle fonti proteiche consumate e ad un'eventuale integrazione con amminoacidi essenziali. Il discorso cambia radicalmente se si passa dal divieto assoluto di consumare alimenti animali ed i loro derivati a quello di evitare solamente la carne ed il pesce (dieta vegetariana). Uova, latte e derivati sono infatti in grado di colmare, senza troppi problemi, le carenze dovute all'allontanamento della carne e del pesce dal piano alimentare quotidiano.
Un altro punto a favore della carne è insito nel suo ottimo contenuto in ferro, decisamente superiore rispetto a quello degli alimenti di origine vegetale; tale differenza si registra soprattutto a livello qualitativo, dal momento che a parità di ferro assunto, quello di origine animale viene assorbito in proporzioni nettamente superiori (circa 3 volte maggiori).
L'elevato contenuto proteico, capace tra l'altro di stimolare la secrezione dell'ormone della crescita, associato alla ricchezza in ferro, contribuisce a rendere la carne un alimento di primaria importanza nell'alimentazione di sportivi, bambini, ragazzi, anemici e donne in gravidanza.


Tipologia Proteine
(g)
Lipidi
(g)
Calorie
(Kcal)
Ferro
(mg)
Colesterolo
(mg)
Carni fresche  
Anatra domestica 21.4 8.2 159 1.3
Bovino adulto (lombata) 21.8 5.2 134 1.4 52-72
Vitello 20.7 1.0 107 2.3 71
Maiale leggero (lombo) 20.7 7.0 146 1.3 62
Maiale pesante (lombo) 20.8 9.9 172 1.4 88
Coniglio intero 19.9 4.3 118 1.0 52
Agnello (muscolo) 20.8 8.8 159 1.7 70
Pollo (petto) 23.3 0.8 100 0.4 60
Pollo (fuso con pelle) 18.4 5.7 125 0.7 94
Pollo (fuso senza pelle) 18.5 3.7 107 1 88
Tacchino (fesa senza pelle) 18.0 4.6 107 0.8 67
Salumi 18.0
Bresaola 32.0 2.6 151 2.4 67
Mortadella 14.7 28.1 317 1.4 70
Prosciutto cotto 19.8 14.7 215 0.7 62
Prosciutto crudo disossato 26.9 12.9 224 0.7 72
Salame Milano 26.7 31.1 392 1.5 90
Salsiccia di suino fresca 15.4 26.7 304 2.8 85
Speck 28.3 20.9 303 1.6 90
Wurstel 13.7 23.3 270 1.2 62

La carne, soprattutto quella di manzo ed in modo particolare il fegato dell'animale, rappresenta una buona fonte di vitamina B12, che ricordiamo essere essenziale per la sintesi di globuli rossi. Anche per quanto riguarda tale vitamina, nel mondo vegetale non ritroviamo alimenti capaci di compensare questa specifica qualità nutrizionale della carne. B12 a parte, il contenuto vitaminico della carne è modesto, fatta eccezione per alcune vitamine del gruppo B (è particolarmente ricca di B6 ed in quella di maiale ritroviamo quantità significative di B1). Nei tagli grassi e nelle frattaglie sono presenti anche importanti quantità di vitamine liposolubili (A, D, E e K). Buono anche il contenuto in fosforo, zinco e selenio (più concentrati nelle frattaglie).

I lipidi della Carne

Le note dolenti, si fa per dire, iniziano quando si comincia a parlare di carne e lipidi. Seppur con una estrema variabilità dovuta alla specie, al tipo di muscolo, all'età, all'allevamento e all'alimentazione dell'animale, la carne contiene quantità significative di questi nutrienti. Parallelamente si registra anche una discreta presenza di colesterolo. Il contenuto lipidico dei tagli più grassi, oltre ad elevarne il potere calorico ed aterogeno, contribuisce anche a diminuire la digeribilità della carne.
A difesa di questo alimento, va detto comunque che il suo contenuto in grassi è mediamente inferiore a quello dei formaggi, mentre quello in colesterolo è sovrapponibile o leggermente inferiore. Altro "pregio" nutrizionale, che interessa particolarmente a chi vuole mantenersi in forma, è l'apporto calorico contenuto (dal momento che la carne è un alimento privo di carboidrati, che sono invece abbondantemente presenti nei cereali ed in misura minore nella frutta, nella verdura e nei latticini). I tagli e le specie più magre, come il petto di pollo, il filetto o la carne di cavallo, hanno un potere calorico che supera di poco le 100 calorie per ettogrammo.

Carni e colesterolo

Al contrario di quanto molti credono, non vi è differenza tra il contenuto in colesterolo delle carni bianche e quello delle carni rosse, ciò che varia è solamente la percentuale di grassi. Anche il maiale, grazie ad una costante selezione delle razze più magre, contiene quantità di colesterolo del tutto simili alle altre carni.
Vediamo ora alcuni consigli per ridurre il contenuto in colesterolo degli alimenti animali:
  • eliminare il grasso visibile, compresa la pelle di pollo e tacchino. La combinazione di grassi saturi e colesterolo favorisce infatti l'azione aterogena di quest'ultimo. Ecco perché le carni bianche, pur contenendo quantità simili di colesterolo rispetto alle rosse, sono maggiormente indicate per chi soffre di ipercolesterolemia.
  • Evitare di preparare la carne utilizzando grassi di condimento; tra i vari metodi di cottura l'ideale è il lesso, seguito dalla grigliatura (purché si faccia attenzione a non bruciarla).
  • Diminuire il consumo di frattaglie grasse, in particolar modo di cervella, alimento in cui si raggiungono concentrazioni di colesterolo superiori ai 2 grammi/100 grammi (quando il fabbisogno totale giornaliero è di soli 0,3 grammi).
Non bisogna dimenticare, infine, che i pericoli maggiori per la salute si registrano quando elevate quantità di colesterolo e trigliceridi si sposano con un surplus calorico. Quindi, una salsiccia abbinata ad un bel piattone di pasta è, non solo più appetibile ma anche più "pericolosa" di un salsicciotto abbinato a verdure e a 50 grammi di pane. Per lo stesso motivo gli sportivi e tutti coloro che svolgono un'attività lavorativa intensa, possono permettersi di consumare qualche taglio di carne grassa in più rispetto ai sedentari

Carne: quanta e quanto spesso?

La carne può essere consumata con tranquillità una volta al giorno, lasciando spazio nel secondo pasto principale ad una fonte proteica alternativa (uova, pesce, legumi o latticini). La preferenza, ovviamente, andrà data alle carni bianche e a quelle rosse magre, ma in una alimentazione equilibrata può comunque esserci un piccolo spazio settimanale (una o due occasioni) anche per i tagli più saporiti e per i salumi (anche quelli più magri, purtroppo, contengono conservanti nocivi per la salute come i nitriti).
LATTE
"Il latte alimentare è il prodotto ottenuto dalla mungitura regolare, ininterrotta e completa di animali in buono stato di salute e nutrizione" (R.D. 9/5/29 n. 994 e successive modifiche). E' importante che la mungitura sia appunto ininterrotta e completa per garantire la salute dell'animale (in caso contrario potrebbe soffrire di mastiti) e la qualità dell'alimento (la composizione del latte varia durante la mungitura, arricchendosi di lipidi mano a mano che questa giunge al termine). Affinché il latte sia privo di difetti e sostanze nocive permeate dal sangue, nonché completo dal punto di vista nutrizionale, è altresì importante che l'animale si trovi in buono stato di salute e nutrizione.
Per legge il termine generico "latte" indica quello di vacca (Bos taurus), mentre per latti di diversa provenienza è necessario specificarne l'origine (ad es. latte di capra, di pecora, di asina ecc.).

Articoli di Approfondimento


LATTI ANIMALI

LATTI VEGETALI

LATTE E SALUTE

LATTE MATERNO E ALLATTAMENTO

LATTE E DERIVATI: Burro, Yogurt, Latticini, Latticello, Latti Fermentati, Proteine del Latte, Formaggio, Valori nutrizionali Latte e Derivati

Valori e proprietà nutrizionali

Il latte è un liquido biologico opalescente, con sapore dolciastro e odore delicato, di complessa composizione. La sua straordinaria ricchezza in nutrienti fa sì che si avvicini, forse più di qualunque altro cibo, al concetto di "alimento completo"; fatta eccezione per i neonati nei primi 5 o 6 mesi di vita, il latte presenta comunque due limiti importanti, rappresentati dal ridotto contenuto in ferro e dal basso potere calorico (se prendiamo come riferimento il latte di vacca, per soddisfare il fabbisogno energetico quotidiano di un adulto ne servirebbero circa 4 litri).
Dal punto di vista chimico-fisico il latte è una dispersione acquosa di molte sostanze che si trovano:
  • IN SOLUZIONE: lattosio, sali minerali, vitamine idrosolubili, gas;
  • IN SOLUZIONE COLLOIDALE: proteine del siero, fosfati;
  • IN DISPERSIONE: caseina;
  • IN SOSPENSIONE: cellule, microrganismi;
  • IN EMULSIONE: grassi, vitamine liposolubili.
La differenza tra soluzione colloidale, dispersione e sospensione sta nelle dimensioni delle particelle, che crescono andando da soluzione colloidale a sospensione; nel latte ritroviamo anche sostanze in emulsione, rappresentate dai grassi e dalle vitamine liposolubili (si trovano in piccole goccioline disperse nella fase acquosa, in cui sono appunto presenti sostanze in soluzione, soluzione colloidale, dispersione e sospensione).

Fattori Che Influenzano la composizione chimica del Latte

La composizione del latte è altrettanto complessa e può variare in funzione di diversi fattori.

  • FATTORI GENETICI: da sempre l'uomo ha selezionato gli animali ad alta produttività di latte, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo (per ottenere un alimento ricco di grassi e/o proteine); d'altra parte ha selezionato anche le specie più resistenti al lavoro e quelle più idonee a fornire carni di qualità. Tutti questi elementi spiegano le differenze compositive di latti provenienti da vacche di razza diversa.
  • STATO FISIOLOGICO DELL'ANIMALE: dipende innanzitutto dalla fase di lattazione. La vacca inizia a produrre latte dopo la nascita del vitello e continua per un tempo variabile, che dura in media 200-220 giorni; la quantità di latte prodotta, che può arrivare ai 7000 kg, supera nettamente le esigenze del vitello (stimate in circa 1000 kg) e per questo motivo può essere in buona parte utilizzata per l'alimentazione umana. Come succede per tutti i mammiferi, uomo compreso, il latte di vacca varia la sua composizione nelle diverse fasi di lattazione; nella prima settimana viene prodotto un latte ricco di immunoglobuline, anticorpi e proteine (chiamato colostro), che garantisce al vitello una rapida ripresa e crescita dopo la nascita. La composizione chimica del latte inizia poi a variare, fino a trasformarlo in latte maturo, più ricco in zuccheri e grassi, ed utilizzato per l'alimentazione umano.
  • STATO SANITARIO DELL'ANIMALE: variazioni significative nella composizione del latte si verificano in concomitanza di mastite; questa infezione della mammella determina una ridotta produzione del latte e di tutte le componenti che derivano dalla ghiandola mammaria, come acqua, zuccheri e proteine, mentre aumentano i fattori che permeano dal sangue, come il cloruro di sodio e gli anticorpi. Gli allevatori si accorgono che l'animale è mastitico perché il pH del latte è più elevato rispetto alla norma, quindi superiore a 6,8.
  • FATTORI AMBIENTALI: forti escursioni termiche e stress ambientali di diversa natura influenzano la produzione lattea dell'animale, sia in termini quantitativi che qualitativi.
  • ALIMENTAZIONE: in genere l'alimentazione della vacca si basa sul foraggio, spesso integrato con farine di soia e cereali per aumentare la quota proteica e lipidica del latte. Solo un'alimentazione corretta, equilibrata ed ottimale garantisce infatti la massima produttività in relazione al patrimonio genetico della vacca.
  • FATTORI TECNOLOGICI: durante la mungitura il latte cambia la propria composizione e si arricchisce di sostanze lipidiche mano a mano che essa giunge al termine (questo aspetto, comune anche al latte di donna, determina sazietà nel vitello). Le varie frazioni di mungitura devono quindi essere riunite e miscelate.
Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/nutrizione/latte.html
CURCUMA

Per curcuma si può intendere sia un Genere di vegetali, sia una droga da loro stessi ricavata.
La spezia curcuma (in inglese: turmeric) è una polvere gialla ottenuta dalla macinazione di alcune piante appartenenti alla famiglia delle Zingiberaceae (la stessa dello Zenzero) e al Genere Curcuma; più precisamente, della curcuma si utilizza il così detto “rizoma tuberizzato” (ovvero la parte sotterranea del fusto contenente le molecole nutrizionali di riserva), che per essere conservato necessita una breve lavorazione.
La Specie di maggior interesse farmaceutico e fitoterapico (quindi economico) è la Curcuma longa (o Curcuma domestica), ma non sono da trascurare anche la Curcuma xanthorrhiza e la Curcuma zeodaria.
La Curcuma longa ha foglie lunghe, ovali e lungamente picciolate, mentre i fiori sono raccolti in spighe bislunghe.
Distribuite in tutta l'Asia Meridionale (la Specie domestica è prevalentemente originaria dell'India sudoccidentale), le Curcuma sono piante di tipo erbaceo, perenne e rizomatoso, oggi coltivate nella maggior parte delle regioni tropicali.
Per prosperare, le curcuma necessitano di una temperatura ambientale compresa tra i 20 ed i 30°C, oltre che di una notevole quantità di precipitazioni annuali. Le piante vengono raccolte annualmente e, normalmente, una parte dei rizomi si conserva per la coltivazione della stagione successiva.

Curcuma in Cucina

Quando non è utilizzato fresco, il rizoma della curcuma viene bollito per circa 30-45 minuti, asciugato in forni caldi e ridotto in una polvere color giallo arancio.
Gli utilizzi principali di questa spezia sono: la cucina indiana, la cucina pakistana, i curry, le tinture generiche e come colorante alimentare.
Il principio attivo della curcuma è la curcumina, che ha un sapore piccante, leggermente amarognolo, distintamente terroso e un odore simile alla senape.
Ormai da millenni, nei Paesi di origine, la curcuma viene utilizzata nella maggior parte delle ricette; solo recentemente, ha riscontrato una notevole diffusione anche nelle nazioni occidentali, considerandone l'utilizzo nella formulazione del curry e di alcune salse.
Per la sua capacità colorante (di giallo), la curcuma è conosciuta anche come “zafferano d'India”; infatti, il principio attivo di queste piante, ovvero la curcumina, viene spesso utilizzato come colorante alimentare naturale (E100), anche se il costo elevato ne limita fortemente l'impiego.
La curcuma viene spesso impiegata nelle ricette vegane, sia per le notevoli proprietà salutistiche, sia per rimpiazzare la colorazione gialla del tuorlo d'uvo (per loro proibito).
L'aroma della curcuma, caldo e pungente, trova una certa somiglianza con quello dello zenzero (con il quale condivide la famiglia botanica).
Il rizoma non viene consumato come tale, ma lavato, sbollentato, essiccato e macinato in una polvere fine. 


Medicina Popolare e Usi Tradizionali

In India, la curcuma è da sempre utilizzata come rimedio per i disturbi dello stomaco e del fegato, così come cura ad uso topico per guarire le ferite in merito alla sua presunta capacità antimicrobica.
Nel sistema “Siddha” (1900 aC), la curcuma rappresenta una medicina per varie malattie e condizioni cliniche, che interessano la pelle, i polmoni, l'apparato gastrointestinale, le ferite, le distorsioni ed i disturbi epatici.
Il succo fresco di curcuma è comunemente utilizzato per varie malattie della pelle, tra cui l'eczema, la varicella, l'herpes zoster, le reazioni allergiche e la scabbia.

Curcuma: Proprietà Salutistiche

Nella curcuma si trovano buone quantità di un olio essenziale, che può essere anche estratto ed utilizzato in profumeria.
La quota di olio presente nel rizoma essiccato (unitamente ai polifenoli curcuminoidi, capitanati dalla curcumina) conferisce alla droga diverse proprietà farmacologiche. Le più conosciute e dimostrate sono quelle coleretiche-colagoghe, che favoriscono la produzione della bile e il suo deflusso nell'intestino; la curcuma può quindi migliorare la salute del fegato, contribuire ad eliminare gli eccessi di colesterolo e facilitare la digestione dei pasti abbondanti e ricchi di grassi.
La curcuma è anche molto utile nel trattamento della dispepsia (cattiva digestione), del meteorismo e della flatulenza (possiede proprietà carminative ed antispastiche); inoltre, ha dimostrato discrete proprietà antinfiammatorie, antivirali, antibatteriche, antifungine ed antiossidanti.
Sia in vitro, sia in studi sugli animali, la curcumina si è rivelata potenzialmente utile nel trattamento di numerose malattie e dei sintomi annessi, tra cui il morbo di Alzheimer, l'AIDS, l'artrite, il diabete e diversi tipi di cancro, in particolare quello al colon-retto e al pancreas; d'altro canto, nell'uomo, le dosi necessarie ad ottenere qualsiasi tipo di effetto benefico sono molto difficili da stabilire.

Inoltre, la ridotta biodisponibilità della sostanza fa presumere che molti degli effetti dimostrati in vitro siano assenti nell'uomo.
Nonostante ciò, la curcumina è tuttora oggetto di numerosi studi, sia per confermarne le proprietà curative, sia per migliorarne l'assorbimento sistemico. A tal proposito, è stata proposta l'associazione della curcuma alla piperina, che può aumentarne la biodisponibilità fino al 2000%, o l'incorporazione in liposomi e complessi di lecitina di soia. Si è anche osservato che l'assorbimento della curcumina migliora in presenza delle altre componenti della curcuma, mentre peggiora nell'assunzione in forma isolata.
Secondo il National Center for Complementary and Integrative Health, "ci sono poche prove attendibili a sostenere che l'uso della curcuma possa giovare a qualsiasi condizione di salute, in quanto (per il momento) sono stati condotti pochi studi clinici" (dichiarazione dell'anno 2012).

Modalità d'Uso ed Effetti Collaterali

La quantità di curcuma consigliata per l'assunzione continua e sistematica è mediamente di 1,5-3g di rizoma essiccato e polverizzato al giorno; a causa della scarsa idrosolubilità tipica dell'olio essenziale e dei curcuminoidi, se ne sconsiglia l'assunzione sotto forma di tisana. Ulteriori informazioni sulle dosi terapeutiche e sulle modalità d'uso sono disponibili nell'articolo curarsi con la curcuma.
L'utilizzo di curcuma è controindicato in presenza di calcoli biliari; in tal caso, meglio non abbondare anche di curry o altre salse contenenti buone quantità di questa spezia.
In letteratura non sono riportati altri effetti collaterali significativi.

Possibili Contaminazioni

La curcuma, come le altre spezie, viene venduta a peso ed è un potenziale bersaglio delle comuni frodi di natura commerciale (adulterazione, sofisticazione ecc.). Non è raro che nella curcuma vengano aggiunte polveri dal colore simile, più economiche, ma potenzialmente tossiche; la più comune è l'ossido di piombo (II, IV), che dona alla curcuma un colore più rosso-arancio invece del suo naturale giallo oro.

Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/integratori/curcuma.html


Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/integratori/curcuma.html

CHIODI DI GAROFANO

I chiodi di garofano sono utilizzati comunemente come spezia in cucina e per decotti disinfettanti e antinfiammatori.
L'olio essenziale di chiodi di garofano, che veniva utilizzato dagli Egizi per imbalsamare i cadaveri, è dotato di elevato potere antimicrobico contro funghi e batteri, antinfiammatorio e analgesico: infatti, è utilizzabile in soluzioni alcoliche per gargarismi e per assunzione orale, in capsule, creme ed ovuli vaginali.

Attività biologica

Ai chiodi di garofano vengono attribuite numerose proprietà, fra cui spiccano quelle analgesiche, antinfiammatorie e antisettiche. Più precisamente, tali attività sono ascritte soprattutto all'eugenolo contenuto nell'olio essenziale estratto dalla pianta.
L'azione antinfiammatoria è stata confermata da alcune ricerche condotte in merito e pare sia svolta attraverso differenti meccanismi, quali l'inibizione della migrazione leucocitaria verso i tessuti infiammati e l'inibizione dell'attività dell'enzima ciclossigenasi, ossia dell'enzima responsabile della sintesi delle prostaglandine pro-infiammatorie.
Allo stesso modo, è stata confermata anche l'azione antisettica attribuita all'olio essenziale di chiodi di garofano. Da diversi studi condotti in vitro, infatti, è emerso che sia l'olio che l'eugenolo estratto da quest'ultimo possiedono una spiccata attività antibatterica, sia nei confronti di microorganismi Gram-positivi (compresi ceppi di Staphylococcus aureus meticillino-resistenti), sia nei confronti di microorganismi Gram-negativi (compreso l'Escherichia coli).
Inoltre, diversi composti presenti all'interno dei chiodi di garofano hanno dimostrato di inibire la crescita dei batteri responsabili dell'insorgenza delle carie dentali e di altri disturbi periodontali.
L'eugenina (un composto fenolico contenuto nell'olio di chiodi di garofano) ha, invece, dimostrato di possedere proprietà antivirali, che sembrano essere esercitate attraverso un meccanismo d'azione che prevede l'inibizione delle DNA polimerasi virali.
Un altro studio, invece, ha messo in luce le interessanti proprietà epatoprotettive di cui l'eugenolo ottenuto dall'olio essenziale di chiodi di garofano è dotato.
L'azione protettiva nei confronti del fegato viene esplicata dall'eugenolo sia attraverso un'azione antiossidante, che previene la perossidazione lipidica, sia attraverso un meccanismo di free-radical scavenging.
Infine, alcuni studi hanno dimostrato che l'olio di chiodi di garofano è anche in grado di esercitare un'azione neuroprotettiva, antimutagenica e antitrombotica.

Chiodi di garofano contro dolore e infiammazione dei denti e del cavo orofaringeo

Grazie alle spiccate proprietà analgesiche, antinfiammatorie e antisettiche di cui l'olio essenziale di chiodi di garofano è dotato, il suo utilizzo ha ottenuto l'approvazione ufficiale per il trattamento dell'infiammazione e del dolore a livello di denti, periodonto e mucosa orofaringea.
Per il trattamento delle infiammazioni della mucosa orofaringea, l'olio essenziale può essere impiegato all'interno di soluzioni acquose (in concentrazioni dell'1-5%) che verranno poi utilizzate per fare sciacqui e gargarismi.
In caso di dolore ai denti o infiammazione gengivale, invece, l'olio essenziale di chiodi di garofano può essere applicato direttamente sulla zona interessata.



N.B.: quando i chiodi di garofano sono utilizzati per fini terapeutici, è essenziale utilizzare preparazioni definite e standardizzate in principi attivi (olio essenziale), poiché solo così si può conoscere la quantità esatta di sostanze farmacologicamente attive che si stanno assumendo.
Quando si utilizzano preparazioni a base di chiodi di garofano, le dosi di prodotto da assumere possono variare in funzione della quantità di sostanze attive contenuta. Tale quantità, solitamente, è riportata direttamente dall'azienda produttrice sulla confezione o sul foglietto illustrativo dello stesso prodotto, pertanto, è molto importante seguire le indicazioni da essa fornite.
In qualsiasi caso, prima di assumere per fini terapeutici un qualsiasi tipo di preparazione contenente chiodi di garofano, è bene rivolgersi preventivamente al proprio medico.

Chiodi di garofano nella medicina popolare e in omeopatia

Nella medicina popolare, l'olio di chiodi di garofano viene impiegato internamente per il trattamento delle ulcere gastriche. Esternamente, invece, la medicina tradizionale sfrutta quest'olio per il trattamento di raffreddore e mal di testa; oltre ad impiegarlo come rimedio analgesico locale e come antisettico a livello dentale.
Inoltre, nella medicina popolare è una prassi piuttosto diffusa quella di collocare un chiodo di garofano in corrispondenza delle carie dentali, in modo tale da alleviare il dolore da esse provocato.
Nella medicina indiana, invece, i chiodi di garofano sono utilizzati per il trattamento di disturbi, quali coliche, flatulenza, gastropatie, anoressia, alitosi, disturbi oculari e mal di denti.
I chiodi di garofano vengono sfruttati anche dalla medicina omeopatica, dove si possono facilmente trovare sotto forma di granuli e gocce orali.
In quest'ambito, i chiodi di garofano vengono impiegati in caso di afte, gengiviti, ascessi dentali, sinusiti e diarrea.
La dose di rimedio omeopatico da assumersi può essere differente fra un individuo e l'altro, anche in funzione del tipo di disturbo che si necessita trattare e della tipologia di preparazione e di diluizione omeopatica che s'intende utilizzare.



N.B.: le applicazioni dei chiodi di garofano per il trattamento dei suddetti disturbi non sono né approvate, né supportate dalle opportune verifiche sperimentali, oppure non le hanno superate. Per questo motivo, potrebbero essere prive di efficacia terapeutica o risultare addirittura dannose per la salute.

Effetti collaterali

Se correttamente impiegati, i chiodi di garofano - così come l'olio da essi ottenuto - non dovrebbero provocare effetti collaterali di alcun tipo.
Tuttavia, se l'olio essenziale di chiodi di garofano è molto concentrato, potrebbe causare irritazione di mucose e tessuti. Inoltre, in individui sensibili potrebbero manifestarsi dermatiti da contatto.

Controindicazioni

Non usare in caso di ulcera peptica (uso orale), dermatiti (uso esterno) ed ipersensibilità accertata verso uno o più componenti.

Interazioni Farmacologiche

I chiodi di garofano e il loro olio essenziale potrebbero instaurare interazioni farmacologiche con:
POLIFOSFATI
 


A cosa servono i polifosfati e in quali alimenti si trovano

Nell'industria alimentare, i polifosfati trovano impiego come agenti addensanti, capaci di migliorare l'aspetto e la consistenza di molti prodotti quali formaggi fusi e carni conservate. Nel prosciutto cotto e nella spalla cotta, in particolare, esaltano la morbidezza delle carni aumentando la percentuale di acqua trattenuta. Per lo stesso motivo, i polifosfati vengono impiegati nella preparazione di varie tipologie di salumi cotti, carni in scatola, salse e budini, mentre nei formaggini aiutano a migliorarne la spalmabilità. Oltre ad esaltare tutte queste caratteristiche particolarmente apprezzate dal consumatore, l'impiego di polifosfati permette di monetizzare anche l'acqua extra trattenuta nell'alimento.
Maionese, filetti di pesce non lavorati, congelati o surgelati, molluschi e crostacei surgelati o congelati, ed alcuni prodotti vegetali in scatola, rappresentano ulteriori, possibili, prodotti alimentari addizionati di tali sostanze.
La categoria dei polifosfati è abbastanza ampia ed i vari additivi che ne fanno parte vengono comunemente indicati dalle sigle E450, E451 ed E452.

I polifosfati fanno male?

Le preoccupazioni sull'utilizzo dei polifosfati riguardano la loro interferenza sull'assorbimento di alcuni minerali, soprattutto del calcio alimentare. Il consumo costante ed elevato di questi additivi può quindi interferire con il normale processo di calcificazione ossea, aspetto particolarmente grave se si considera che i maggiori consumatori di formaggi fusi (la fonte più ricca di polifosfati) sono spesso i bambini e gli anziani. Consapevoli di tale rischio, molti industriali hanno optato per evitare l'aggiunta di polifosfati ai propri prodotti, sottolineandone chiaramente l'assenza in etichetta.

Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/nutrizione/polifosfati.html
CAFFè

 




Il caffè è una droga* estremamente diffusa, non solo perché da esso si ricava l'omonima e famosa bevanda, ma poiché il principio attivo che lo caratterizza (caffeina) è presente anche in prodotti di interesse erboristico, dietetico, cosmetico e farmaceutico. La caffeina è per esempio contenuta in prodottianticellulite o dimagranti, da utilizzarsi ad uso topico per le loro capacità termogene, cioè stimolanti la mobilitazione dei grassi dal tessuto adiposo e la successiva ossidazione. La caffeina è presente anche in prodotti drenanti, poiché favorisce la diuresi, riducendo la ritenzione idrica. La stessa sostanza, appartenente alla classe degli alcaloidi, ha proprietà eccitanti sul sistema nervoso centrale, stimola la veglia e, per le sue capacità di migliorare la reattività muscolare, viene spesso chiamata "il doping dei poveri".
Per tutti questi motivi il caffè è una doga molto sfruttata nell'ambito salutistico, ma anche in campo farmaceutico, dove rientra, per esempio, nella composizione di farmaci importanti come gli antiemicranici.
Il caffè è una droga ricavata da una pianta nota come coffea arabica, che da il nome alle miscele di caffè più pregiate. Esistono tuttavia moltissime altre specie e varietà a differente contenuto in caffeina. In Brasile, attraverso selezioni biotecnologiche, sono stati per esempio sviluppati semi embrionali, quindi delle piantine di caffè naturalmente prive di caffeina. Ciò consente di evitare il processo di decaffeinizzazione, che è piuttosto laborioso e costoso.
Esistono delle specie di caffè che hanno un elevato contenuto in caffeina; oltre alla sopraccitata Coffea arabica (0,8-1,4%), occorre ricordare la Coffea robusta(1,7-4%), a cui spetta il primato di caffè "più forte".
La Coffea humboltiana del Madagascarha invece un bassissimo contenuto in caffeina.
La coffea arabica è un piccolo albero appartenente alla famiglia delle Rubiaceae.Originaria dell'Etiopia e della penisola arabica, attualmente è estesamente coltivata in Sud America ed in modo particolare in Brasile, principale produttore di caffè al mondo.

(*) "pianta o parte di pianta utilizzata direttamente, allo stato fresco od essicato, per estrarne i princìpi attivi a scopo principalmente terapeutico (può essere destinata anche all'industria dei liquori o dei profumi)"

Produzione del caffè

Il caffè è una droga alcaloidea che richiede una lavorazione piuttosto laboriosa e l'ausilio di tecnologie avanzate.
Il caffè viene raccolto dai frutti (bacche o, per alcuni, drupe) a piena maturazione. Da essi vengono estratti i semi, che al momento della raccolta hanno una colorazione giallo verdastra (caffè verde). Dopodiché tali semi vengonodepellicolati a secco (facendoli passare attraverso delle insufflazioni di aria calda a bassa percentuale di umidità, che esfoliano i tegumenti esterni) oppure a umido (breve passaggio in acqua per facilitare il sollevamento della pellicola esterna, che anche in questo caso verrà poi definitivamente allontanata da un getto di aria calda e secca). La scelta di queste differenti tipologie viene effettuata in base alle condizioni di raccolta: se i semi vengono raccolti in situazioni climatiche favorevoli (particolarmente umide) allora la depellicolazione avviene a secco e viceversa.
Successivamente i semi passano attraverso una rapida essicazione, necessaria per eliminare gli ultimi residui di acqua che potrebbero alterarne la qualità.
Il caffè depellicolato è chiamato caffè nudo; successivamente, dopo essere stato pre-essiccato, prende il nome di caffè pergamino. In entrambi i casi si tratta di caffè crudo, che verrà successivamente selezionato per essere indirizzato alla decaffeinizzazione o passare direttamente alla torrefazione.
Il caffè può essere decaffeinato secondo diverse modalità: attualmente le strategie più utilizzate sono la decaffeinizzazione ad acqua e quella a CO2 supercritica (più costosa). La prima comporta il passaggio dei chicchi di caffè crudo in vasche di acqua, dove sono presenti filtri a carboni attivi. L'acqua come solvente estrae la caffeina, permettendo di ottenere un caffè estremamente leggero, anche se non del tutto privo di caffeina.
Il processo di decaffeinizzazione ha una duplice funzione, innanzitutto serve per produrre caffè decaffeinato, che ha un certo successo nel mercato, e in secondo luogo per ottenere la caffeina da destinare alla preparazione di prodotti salutistici e farmaceutici
Una volta ottenuto, il caffè, decaffeinato o meno, dev'essere torrefatto. Latorrefazione è un processo di cottura dei semi, a temperature di 200-240 °C. Questo processo di cottura conferisce al caffè la classica colorazione bruno nerastra e le caratteristiche organolettiche e morfologiche tipiche della droga. Durante la torrefazione il caffè acquisisce infatti numerose caratteristiche organolettiche, innanzitutto perché gli zuccheri caramellano, dando il colore caratteristico alla droga, in secondo luogo perché si forma il caffeone, che conferisce al seme un aspetto lucido, quasi untuoso. Il caffeone è una miscela di composti terpenici piridinici, in grado di irritare le mucose gastriche, provocandobruciori di stomaco in soggetti particolarmente sensibili. Per questo motivo, se da un lato il caffè è controindicato in chi soffre di irritabilità gastrica, la blanda attività irritativa del caffeone conferisce alla bevanda proprietà eupeptiche(facilitanti la digestione). L'irritazione della mucosa gastrica favorisce infatti lasecrezione di acidi e la digestione può essere in qualche modo favorita.

Caffè e caffeina

I metaboliti secondari del caffè sono rappresentati soprattutto dalla caffeina e da composti terpenici, detti kauranici che conferiscono alla droga numerose proprietà. Il caffè, una volta torrefatto, sia decaffeinato che caffeinato, viene macinato e poi sottoposto a processi estrattivi, tra cui principalmente la percolazione (moka) e la decozione (caffè greco, caffè turco).
Il caffè cosiddetto solubile è invece ottenuto per infusione. Dopo essere stato macinato e sottoposto a questa tecnica estrattiva, l'estratto acquoso ottenuto viene liofilizzato. Allontanando l'acqua si ottiene un estratto secco, comunemente conosciuto come caffè solubile.
Le principali caratteristiche nutrizionali del caffè sono dovute principalmente alle proprietà della caffeina. Tale alcaloide stimola la funzionalità cerebrale (aumento della veglia e della concentrazione), è un cardiotonico (stimola la frequenza cardiaca) e ha un'attività blandamente irritativa sulla mucosa gastrica. Quest'ultima proprietà è condivisa con quella del sopraccitato caffeone. L'attività della caffeina sul metabolismo dei grassi è invece sinergica con quella dei composti kauranici.
La caffeina favorisce la trasmissione del segnale nervoso a livello muscolo-scheletrico. Aumentando la velocità di trasmissione del segnale a livello dellesinapsi, migliora quindi la reattività muscolare. La caffeina ha anche proprietà diuretiche, che sono da attribuirsi ai suoi effetti blandamente irritativi sull'epitelio renale.
Tutte queste caratteristiche concorrono a far sì che la caffeina come molecola ed il caffè come droga, rientrino nella composizione di numerosi prodotti di interesse erboristico, dietetico e cosmetico.

Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/nutrizione/caffe.html

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